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Urbanistica: a proposito della petizione “Triante: Un quartiere da salvare” e dintorni.

Secondo quanto si apprende dal quotidiano on-line MBNews (edizione del 29 marzo 2021) l’assessore comunale all’Urbanistica e all’Ambiente, Martina Sassoli, avrebbe liquidato la petizione (“Triante: Un quartiere da salvare”) recentemente lanciata dalla Consulta di quartiere come il frutto della volontà di politicizzare qualsiasi dibattito e denigrare gli sforzi del Comune nel perseguimento della sua politica di recupero e rigenerazione urbana finalizzata a rendere la città di Monza più bella e attrattiva.


Tuttavia, siamo proprio sicuri che gli interventi di riqualificazione urbana avallati dall’attuale Giunta comunale siano idonei a raggiungere gli obiettivi auspicati, in termini di maggiore bellezza e attrattività della città? O, viceversa, è ragionevole ritenere che l’esito di tali interventi urbanistici (qualora portati a compimento) sarà quello di accentuare ancor di più gli attuali squilibri, gravi ed evidenti, che affliggono il territorio cittadino?
Al riguardo l’esempio del quartiere Triante pare emblematico.


Con i suoi circa 8.000 abitanti per kmq Triante è il quartiere di Monza di gran lunga più densamente popolato (peraltro, una densità abitativa fuori dal comune, paragonabile solo a quella riscontabile nelle città di Napoli e Milano). Tuttavia, a fronte di tale densità abitativa, il quartiere Triante soffre della carenza di adeguati servizi (ad eccezione degli ormai onnipresenti supermercati) e di spazi fruibili dalla collettività. Al riguardo, la petizione sostenuta dalla Consulta di quartiere, denuncia – solo per fare qualche esempio – la mancata re-introduzione del Parco di viale Europa, previsto dal vecchio PGT e area centrale del quartiere, l’assenza di una piazza di quartiere, di un centro di aggregazione giovanile o per gli anziani, la mancata implementazione dei percorsi di mobilità dolce.


Ora, a fronte di tale situazione di fatto, il principale progetto di intervento urbanistico nel quartiere avallato dall’attuale Giunta consiste nel “recupero” dell’ex Buon Pastore – un’area di circa 30.000mq – mediante una ingente opera di edilizia residenziale e commerciale che dovrebbe comportare la realizzazione di alcuni fabbricati di altezza anche superiore ai 30 metri per un totale di circa 240 appartamenti e 350 box, un consumo aggiuntivo di suolo di circa 6.000mq, l’eliminazione di parte del bosco secolare (per fare spazio ai nuovi insediamenti edilizi) e la destinazione della storica chiesa panottica ad area commerciale.


Le ricadute (a tinte fosche) di un tale intervento sull’intero quartiere sono facilmente immaginabili. Ulteriore aumento della densità abitativa, maggiore congestione del traffico quotidiano, maggiore inquinamento (per inciso, si ricorda che sulla base delle ultime statistiche disponibili Monza occupa la non invidiabile posizione di 5° città più inquinata d’Italia), ulteriore consumo di suolo e alterazione dell’ecosistema, solo per fare qualche esempio.


L’area dell’ex Buon Pastore è di proprietà privata e ciò rappresenta un dato oggettivo dal quale non si può prescindere. Tuttavia, il rammarico e la denuncia che emergono dalla condivisibile petizione lanciata dalla Consulta di quartiere originano dal fatto che la tanto sventolata (dalla Giunta in carica) rigenerazione urbana si risolve, a ben vedere, in un mero slogan di facciata dietro il quale si cela una politica urbanistica senza visione della città, intesa come capacità di prefigurare un percorso evolutivo della stessa realmente rispondente ai bisogni della collettività, tenuto conto dei contesti, ambientale, sociale ed economico e della loro sostenibilità.


Una politica urbanistica di corto respiro, rinunciataria; peggio, opportunisticamente sensibile al solo richiamo delle monetizzazioni. E’ questo, riteniamo, che fa male alla Città. Semplicemente perché non migliora la vita di chi vi abita o di chi, comunque, la vive. Anzi, determina un sensibile e globale peggioramento.
Alcune domande. Il recupero delle aree dismesse di proprietà privata mediante la realizzazione di sola (o prevalente) edilizia residenziale è un esito davvero ineluttabile? Siamo proprio sicuri che essa rappresenti l’unica soluzione che i proprietari privati ritengono accettabile?


Riteniamo di no. E a noi pare che un ruolo essenziale possa (anzi, debba) essere giocato dal Comune il quale – nell’interlocuzione con i titolari privati – deve sforzarsi (e non stancarsi mai) di elaborare proposte in grado di realizzare una sintesi efficace tra la legittima aspettativa di ritorno economico del soggetto privato e la salvaguardia degli interessi collettivi della cittadinanza.


Ma per elaborare proposte che possano essere attrattive nei confronti degli stessi titolari privati e possano dunque costituire una valida base di confronto con gli stessi, occorre una profonda conoscenza sia del quartiere di insediamento dell’area oggetto di riqualificazione, sia del territorio circostanze, nonché, infine, una chiara visione della città. Conoscenza e visione che purtroppo sembrano mancare all’attuale Giunta comunale.